Un articolo di Wired riporta come lo scorso anno, stando ai dati registrati dai sismografi della Rete sismica nazionale e divulgati dall’Ingv, in Italia si sono verificati circa 16mila eventi di terremoto, il che corrisponde a una media di 44 al giorno, quasi un terremoto ogni mezz’ora. Fortunatamente, solo una piccola parte di questi eventi è stata abbastanza forte da essere avvertita; tuttavia, sappiamo bene che il nostro paese è, in media, ad alto rischio sismico.
In media, per l’appunto, vuol dire che ci sono zone in cui il rischio sismico è molto elevato (per esempio l’Italia centrale a ridosso degli Appennini) e zone in cui il rischio sismico è più basso (per esempio Sardegna, Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta). Ed è ovvio che, per definire le norme di edilizia antisismica, istruire la popolazione su come comportarsi nel caso di terremoti, predisporre un sistema di allerta (e molto altro) è necessario quantificare in modo più preciso possibile queste differenze.
Gli scienziati dell’Ingv lo sanno molto bene, ed è per questo che hanno messo a punto da tempo la cosiddetta mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale – come suggerisce il nome, si tratta di una cartina i cui colori esprimono l’accelerazione massima del suolo (in termini probabilistici) che ci si aspetta di osservare in una certa area nei prossimi 50 anni.
A maggio del 2019 la Protezione Civile ha approvato la mappa. Ma pochi mesi dopo gli esperti della Commissione Grandi Rischi hanno fermato tutto, chiedendo di eseguire nuovi test sul modello utilizzato; dopodiché, a settembre 2020, il modello è stato dichiarato “non maturo per le possibili utilizzazioni”.
Fonte immagine: LA STAMPA, articolo che ricorda il terremoto del 6 maggio 1971